La gioia del sì nella Vita Consacrata
Guardandoci attorno con molta probabilità si potrebbe dire che è tornata di moda la ricerca della felicità. Basta andare in libreria o cliccare sulle rassegne dei libri e saggi che escono: c’è tutto un proliferare di volumi che raccontano testimonianze autobiografiche o invitano a seguire un processo più o meno illuminato per raggiungere e assaporare la felicità. Che si tratti di benessere fisico o spirituale o di successo personale o di avventure o cure personali particolari, non importa. Abbiamo tutto un pullulare di romanzi e saggi che suggeriscono come stare bene.
Nella maggioranza dei casi è pura paccottiglia prodotta da imbonitori che hanno la preoccupazione unica del loro benessere o soprattutto di spillare soldi. Ma, al di là dei contorni, c’è da dire che, senza dubbio, in tutto questo si coglie un grande bisogno oggi di felicità e di bisogno di esistere. Che la società frenetica occidentale non riesca a soddisfare la ricerca di felicità lo si capisce anche dall’aumento considerevole di casi di depressione.
Ma come trovare la gioia perduta? E’ davvero ancora possibile riempire di momenti di letizia la nostra esistenza umana così piena immediatamente di affanni nel nostro piccolo ma anche a livello planetario?
Certo, bisogna dire che la nostra società occidentale ha guadagnato molto in questi anni rispetto a chi è venuto prima di noi sotto tanti aspetti: longevità, aspettative di vita, possibilità alimentari abbondanti, cure mediche, accesso facile all’istruzione, libertà di spostamenti e di comunicazione, diffusione dei diritti della persona, cura dell’ambiente, tutela della privacy…
Nonostante ciò la percentuale di infelicità percepita è notevolmente aumentata e per di più aggravata da tanta solitudine. La vita si presenta per tutti, indipendentemente dal proprio progetto esistenziale disegno vocazionale, come una specie di labirinto intricato.
L’avevano già intuito gli antichi, cretesi e greci con il mito del labirinto di Creta, in cui era rinchiuso il mostro Minotauro (mezzo uomo e mezzo toro), che divorava chi si avventurava nel labirinto e non trovava più la via di uscita o il labirinto in mare aperto disegnato nel filo conduttore del viaggio di Ulisse per il ritorno a Itaca descritto nell’Odissea.
Ieri come oggi, in questo labirinto dell’esistenza si incontrano infatti diversi pericoli e minacce che vogliono divorare la nostra vita; e si incontrano anche molti luoghi e situazioni che tentano di fare dimenticare il senso del viaggio della stessa esistenza. Una vita dunque con momenti di crisi più o meno distruttive, paralizzate soprattutto da paure e momenti in cui si resta bloccati da illusioni. Situazioni nelle quali si sperimenta particolarmente che vita e morte si toccano continuamente. Tanto più che I cambiamenti in atto sono tanti sia nel tessuto sociale che ecclesiale. E per questo occorre indubbiamente sapere leggere i segni dei tempi, perché stiamo vivendo in una fase storica nuova e aperta, mossa da immense spinte sia politiche che economiche contraddittorie e che dal punto di vista religioso porta a costatare che siamo al massimo dell’indifferenza religiosa, per cui la domanda religiosa stessa non arriva praticamente alle orecchie dei nostri contemporanei. Ci troviamo infatti a fare i conti con un uomo chiuso come dentro una capsula, per cui vede solo se stesso e i propri manufatti umani.
La fede vincente oggi è verso la tecnica, che è diventata una vera antagonista della fede religiosa. Certo sbagliarsi su Dio è il peggio che possa capitare, perché poi ci sbagliamo su tutto: sulla storia, sull’uomo, su noi stessi, sul bene e sul male, sulla vita… Le conseguenze difatti: un uomo che vuole a tutti i costi moltiplicare le possibilità di vita sotto l’impulso dei bisogni e desideri da vivere nell’immediato senza legami duraturi. E i prodotti economici ti offrono di fatto tante possibilità e sorprese ma chiudono in una specie di egolatria, come tanti individui dediti solo a se stessi, ripiegati in un narcisismo pauroso, incapaci di relazioni vere e significative con gli altri.
Una solitudine interiore ed esteriore che fa vivere di paure e di consumi; una vita di corsa capace di produrre soprattutto scarti umani: lo scarto della profondità interiore e lo scarto di tanti poveri in aumento. Tutto questo produce un grande risentimento prima di tutto verso se stessi e poi verso gli altri, per cui diventa difficile ristabilire un vero rapporto che sia significativo tra consenso sociale, integrazione e il mito tecnico/economico dominante. Il sentimento prevalente diffuso è quindi soprattutto la paura.
Dagli appunti di Don Beppe M. Roggia SDB
Palermo 7-8 Febbraio A.D.
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